Stefania Carrozzini
Artista, critico d’arte, giornalista, coach per artisti e curatrice indipendente.
In un panorama contemporaneo, in cui vi è la tendenza a non porsi più il problema del gesto trasgressivo, ma piuttosto dell’inserimento a corte, Afran vuole rimanere fedele a una sua libertà di pensiero, una vera necessità di oltrepassare i limiti e di uscire dai recinti prestabiliti dove operare con la propria sensibilità e unicità. Il materiale che lui utilizza, il jeans gli è congeniale dal punto di vista concreto e simbolico, come veicolo di significati che aderiscono in pieno alla sua poetica di artista che vive le contraddizioni del proprio tempo.
Afran taglia i jeans e ricrea forme e volumi, ma lascia in evidenza quello che può essere considerato l’ossatura del capo, ovvero le cuciture che diventano segni grafici e costruiscono nuovi assetti formali.
Il jeans è un prodotto – feticcio che ha invaso sia l’immaginario collettivo, sia il mercato reale. E’ un significante che si adatta a tutto avendo attraversato tutti i significati, esalta la libertà attraverso l’omologazione, divenendo una seconda pelle universale per tutti i segni della storia. Sinonimo di uguaglianza, è l’uniforme di un mondo senza uniformi, il simbolo di una società che si nutre delle proprie contraddizioni senza negarne nessuna.
Afran è ben consapevole di questa trasversalità di linguaggi e sceglie di oltrepassare tutte le categorie, di andare oltre gli stili, perché tale materiale contiene già in sé un forte codice espressivo che si presta a molte letture.
Il suo lavoro, a volte, assume l’aspetto di una partitura organizzata e strutturata in modo quasi minimalista, come nel caso del collage di brands staccati dai jeans che richiamano una scheda di circuiti integrati, dove si mescolano nomi di persone o di concetti che hanno avuto un ruolo importante nella sua vita. Oppure, nel corso del tempo e man mano che la ricerca si evolve, prendono vita nuove creature che danno voce a un mondo di forze sotterranee, ctonie, che gridano il desiderio di riscatto, di libertà.
Afran, costruisce mondi paralleli che s’incrociano nel punto dove la visione può liberare tutti i meccanismi percettivi del tempo della creazione e sintonizzarsi sul presente. Mescola nel suo jeanscape umano indizi d’istintività primordiale con elementi che appartengono ai ritmi della produzione; si appropria del jeans come frammento dotato di significato universale che ingloba sensualità e atemporalità. È un’operazione che regola i processi culturali, comunicativi e informazionali, che costruisce interfacce e si connette con il mondo. Un’architettura di contenuti la cui comprensione dipende dalla capacità di individuare e di leggere molteplici codici generatori. Il corpo qui è una soglia. Incorpora e digerisce tutti i codici in transito.
È un linguaggio che vuole costringere gli umani a riconoscere, dietro ai meccanismi di seduzione del nostro tempo, una dimensione comune di appartenenza, al di là delle tendenze di massificazione e di controllo del sistema sugli individui. Il corpo grida il proprio desiderio di riscatto, è il teatro, dove si mettono in scena i drammi che limitano la libertà. Non a caso Afran utilizza le cinture. E le cinture hanno una doppia valenza: sostengono ma comprimono. Cicatrizzano, ma bloccano il libero fluire dell’energia.
Nel tempo della connessione forzata e del frastuono mediatico, dove l’approccio con la realtà è generato da comportamenti compulsivi, non vi è libertà laddove non vi è possibilità di scelta e di vera comunicazione. Una comunicazione diretta e senza ostacoli tra gli individui creativi, portatori di una nuova visione del mondo: welcome to Freedom!
Stefania Carrozzini